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ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEI SOCI DEL SNDMAE
Roma, 25 febbraio 2014

Relazione programmatica:
Discorso del Presidente Gabriele Meucci
Intervento del Vicepresidente Elisabetta Martini

 

Gabriele Meucci, Presidente del SNDMAE:

Ambasciatore Valensise, Segretario Generale
Ambasciatore Belloni, Direttore Generale per le Risorse Umane e l’Innovazione
Dr Di Napoli, Segretario della Commissione Esteri della Camera dei Deputati

Illustri ospiti, giornalisti, colleghi ed amici,

il 2014 si e' aperto annunciando novita' importanti per il futuro del nostro Paese, un nuovo Governo si e' da poche ore insediato, una nuova Ministro degli Affari Esteri ha da poco preso possesso delle sue nuove funzioni alla Farnesina. Le auguriamo sinceramente ogni successo.
Lasciate che in questa occasione rivolga anche un caloroso saluto e un vivo ringraziamento alla Ministro Emma Bonino, che ci ha guidato fino a pochi giorni fa con passione e con dedizione ed e' stata al nostro fianco dimostrando sempre di saper apprezzare  tutto il  personale di questo Ministero, che ha avuto l'onore di servire, con lei, il Paese in momenti molto difficili..
La carriera diplomatica italiana, che questo sindacato si onora di rappresentare raccogliendo due terzi dei suoi componenti, vive le difficolta’ del Paese dalla “linea del fronte" - permettemi questa espressione . La rete diplomatica italiana, con il suo personale, ha rappresentato e rappresenta sempre gli interessi del Paese, nonostante i travagli della politica interna nazionale. Noi non guardiamo al colore politico del Governo, noi serviamo il Paese, con lealta', con dedizione, con senso dello Stato.
Come le forze armate, siamo operatori della sicurezza internazionale, svolgiamo il nostro lavoro in un mondo molto piu’ instabile di qualche anno fa, garantiamo all’Italia una capacita’ di rete con i Governi degli altri Paesi, una rete attiva e passiva, dinamica, elastica, capace di anticipare e parare i colpi avversi. Siamo, in altre parole, parte del sistema di sicurezza internazionale dell’Italia, tanto a beneficio dei singoli cittadini e delle imprese, quanto a vantaggio del mantenimento e della stabilita’ delle posizioni geopolitiche assunte dai Governi italiani nel tempo.
Credo che sia giunto il momento che il Ministero degli affari esteri si doti di un documento di strategia, che dovrà essere fatto proprio dal Governo, che metta bene in chiaro il suo ruolo di attore della sicurezza internazionale per il Paese, che spieghi il compito che ci è affidato, allo stesso tempo delicatissimo e preziosissimo, di garantire il posizionamento dell’Italia nel quadro internazionale in un disegno strategico ben definito di stabilità politica ed economica.      
La funzione diplomatica, che si evolve nel tempo come ogni altro strumento della politica, interna ed estera, rimane anche oggi, nonostante quanto ogni tanto capita di sentire qua' e la', una funzione indispensabile per ogni Paese che intenda relazionarsi con gli altri. Ho citato quanto ogni tanto capita di sentire qua e la', riferendomi a coloro che considerano inutile la diplomazia per il fatto che oggi tutti possiamo viaggiare facilmente e velocemente e gli stessi governanti si mandano messaggi fra di loro, se lo vogliono. Probabilmente quando il telefono comincio' a divenire una abitudine, piu' di un secolo fa, ci sara' stato qualcuno a sostenere che, vista la facilita' delle comunicazioni, tanto valeva abolire gli ambasciatori.
Non e' andata cosi'. Se anche gli incontri immediati fra esponenti dei Governi sono molto frequenti, essi sono sempre preceduti, e seguiti, da un fitto lavorio, fatto da mesi e mesi di minuziosa intelligenza e di capillare conoscenza, di strategia, insieme ai nostri colleghi stranieri, che fanno il nostro stesso lavoro "dall'altra parte".
Dico cose che a noi possono apparire ovvie, ma e' bene ribadirle sempre più spesso poiche' mi pare che si tratti di nozioni che, con l'andare del tempo, stiano scomparendo dal patrimonio della cultura generale, purtroppo anche in seno ad alcune forze politiche italiane rappresentate in Parlamento.
Siamo pochi, noi lo sappiamo, i diplomatici italiani sono 898. Ci confrontiamo con 1.865 diplomatici tedeschi, 2.700 francesi,  3.350 inglesi.  Utilizziamo nel nostro lavoro risorse pari allo 0,21 per cento del bilancio dello Stato, contro l’1,15 dei tedeschi, l’1,78 dei francesi, ad esempio.  Insomma con le risorse dell'Olanda, facciamo il lavoro dei tedeschi. Quanti fra gli italiani lo sanno non lo so dire, e non so neanche dire quanti degli esponenti politici italiani lo sappiano, viste certe dichiarazioni che echeggiano ogni tanto sui giornali.
E a proposito di giornali e di immagine, cari ospiti ed amici, dobbiamo constatare che ci siamo trovati a fronteggiare, negli ultimi tempi, alcuni tentativi di delegittimazione della nostra funzione e della nostra dignita' che, se non proprio nuovi, mi paiono francamente di aver passato il segno della tollerabilita'.
Mentre nessuno si sognerebbe di maltrattare le forze armate, braccio della politica estera italiana – diciamo così, in un momento in cui sono impegnate a difendere gli interessi dell’Italia in numerose ed impegnative missioni internazionali, una per tutte l’Afganistan, noi invece dobbiamo tollerare, anche dalla voce di alcune forze politiche in Parlamento e nel Governo, periodici ed offensivi attacchi alla nostra dignita’ professionale. In Afganistan non ci sono solo i soldati italiani, ci siamo anche noi. Non lo si scordi mai. 
Non comprendo a che cosa miri una certa stampa quando ci attacca frontalmente per i nostri cosiddetti stipendi. Dico cosiddetti stipendi perche' le notizie, anche di recente diffuse da apparentemente autorevoli fonti di ricerca male informate, e che comparavano i compensi di alcuni nostri ambasciatori con quelli di altri importanti Paesi europei, ebbene quelle notizie erano fra le piu' falsamente rappresentative della realta'.
I nostri compensi all'estero, regolati da un sistema impiantato decenni fa da una classe dirigente pubblica probabilmente consapevole dell'inefficienza della macchina amministrativa italiana rispetto a quella degli altri Paesi nostri concorrenti, i nostri compensi all'estero - dicevo -comprendono i costi del servizio all'estero per lo Stato, che infatti sborsiamo ciascuno di tasca nostra, senza gravare sulla lenta ed oberata macchina burocratica dello Stato per far fronte ad ogni singola spesa, grazie all'assegno comprensivo che riceviamo quando siamo all'estero. Sono gli stessi costi del servizio che molti altri Ministeri degli Esteri si assumono in proprio, senza delegarli al portafoglio personale dei loro dirigenti, come ad esempio la casa, l'auto, le scuole dei figli, le spese per organizzare eventi promozionali dell'Italia all'estero. Non per fare dell'ironia, faccio solo presente che il Foreign Office di Londra, che ha un sistema opposto al nostro - cioe' paga uno stipendio netto ai suoi dipendenti e si fa carico direttamente di tutti i costi della presenza all'estero del suo personale, come farebbe un'impresa privata - contempla fra i contributi individuali aggiuntivi voci come il barbiere o il parrucchiere e le gomme invernali.
E qui vorrei soffermarmi sulla nostra dignita', sul valore del lavoro e dell'attivita' che svolgiamo, sette giorni su sette, trenta giorni al mese, dodici mesi l'anno, da Kabul a Washington, da Yangon a Gerusalemme, da Kiev e Tripoli al Congo fino a Londra o a Berlino o a Buenos Aires o all'Uzbekistan. Posti diversi, lavoro differentemente complesso, stessa dedizione totale.
Ci sentiamo francamente offesi quando leggiamo certe affermazioni superficiali sul nostro conto, di recente anche volutamente falsate da alcuni che ci accomunano ai "costi della politica".
Vorrei qui dire chiaro e forte, perche' tutti intendano, che l'unica "casta" che potrebbe assomigliarci e' quella dei bramini, ma meglio evitare di parlare di India oggi..., dei sacerdoti di una religione internazionale, la religione della politica estera. E se vogliamo parlare dei "costi della politica", allora gli unici costi che ci riguardano sono i "costi della politica estera", che gia' da anni sono a livelli pericolosamente bassi, troppo bassi per garantire la corrispondenza delle idee con le azioni, per un Paese come l'Italia che si vuole fra i leader europei. Cosi’ bassi che e’ veramente giunto il momento di chiederci tutti, a partire dal Governo e dal Parlamento, se l’Italia sara’ ancora in grado di averne una di politica estera.
E fra i "costi della politica estera",  devo sorvolare su quanto i nostri colleghi devono metterci di tasca propria per compiere missioni all'estero, per poi ricevere rimborsi, incompleti, sei mesi dopo? Ma quale organizzazione, chiedo a voi, manda in missione i propri dipendenti in questo modo? Vai una settimana in Cina e ti paghi tutto tu, poi vediamo cosa ti rimborso, il taxi no, la prima colazione no,  eccetera eccetera. Sono abusi veri e propri che devono finire, altro che "casta"!
E se c’e’ da mettere mano a un sistema burocratico amministrativo che ci ingessa dalla mattina alla sera, ebbene siamo noi i primi a volerlo radicalmente cambiare!
Non mi voglio dilungare oltre su questo tema, ma ribadisco ancora una volta che se veramente esiste nel nostro Paese una cosiddetta "casta" - pubblica e privata - , noi ne siamo stati, da anni ormai, le parti lese, perche' la rappresentiamo. Noi rappresentiamo l’Italia per quello che è, la nostra proiezione non puo’ essere altro.
Noi serviamo il Paese con lealta', dignita' e sacrificio personale, di tutti noi e delle nostre famiglie che ci seguono nelle nostre peregrinazioni, in percorsi imprevisti di vita lungo le strade del mondo sempre piu' insicure e piene di pericoli, rinunciando a tutto quello che viene considerato normale in una famiglia che non sia una di quelle del circo.
Di Parigi e Londre ce ne sono due al mondo, il resto e' quel che sappiamo, dal Medio oriente ai Paesi afflitti dal terrorismo endemico e dalla criminalita' violenta di strada, dove abbiamo avamposti che non possiamo certo considerare alla stregua di una capitaneria di porto o di un commissariato di polizia o di una procura, neanche di quelli che lavorano nei territori piu' difficili del nostro Paese.
E quando parlo di famiglia, voglio dire anche le coppie di fatto, sia quelle eterosessuali che quelle omosessuali.
E deve essere anche chiaro, se gia' non lo e', che la diplomazia, non solo quella italiana ma quella di tutto il mondo, non e' dotata di strumenti sovrumani, come qualcuno forse pensa quando leggiamo critiche perche' mille passeggeri, bloccati in un aeroporto in sciopero, non sono stati "assistiti" da un nostro consolato che in un'ora non e' stato capace di fornirgli altri mezzi.  Siamo l'unico Paese al mondo, che io conosca, che attiva la propria rete diplomatica per far fronte a disagi di viaggio che in tutti gli altri Paesi sono considerati oneri dei tour operator.
Mi auguro anche che, nel vento del rinnovamento attuale, si voglia fare chiarezza sull'assistenza che possiamo fornire ai cittadini italiani ed europei quando incontrano difficolta' all'estero, abbiamo limiti che sono quelli delle leggi italiane, delle leggi locali e delle leggi internazionali. Leggi che, anche per le migliori intenzioni, come il caso delle adozioni, non possiamo ne' dobbiamo violare.
E parlando di italiani all'estero, ci sarebbe ancora molto da dire su una legge che concede la cittadinanza italiana - mi si permetta di dirlo, so che interpreto l'opinione dei piu' qui dentro - a milioni di persone che non hanno nessun legame con l'Italia ne' prevedono di averlo, non parlano l'italiano ne' prevedono di impararlo, non sono contribuenti dell'erario italiano anche se incidono sulla spesa pubblica, e chiedono il passaporto italiano solo per viaggiare negli Stati Uniti senza visto, oppure per stabilirsi in Spagna oppure per aprire, se sono ricchi, un ufficio a Londra.
Tutto questo quando ci mancano le risorse per diffondere la cultura italiana, quella si' un vero e proprio "soft power", troppo sottovalutato, della nostra politica estera, anche a beneficio delle numerosissime comunita' italiane sparse per il mondo, generate da flussi migratori esauriti ormai da decenni, perfettamente integrate, con successo, e che non chiedono altro che mantenere viva la loro appartenenza culturale.
Possiamo ignorare questo bisogno di cultura, invece che spendere milioni di Euro per far viaggiare sacchi di schede elettorali in giro per il mondo, con affluenze al voto risibili rispetto all'investimento fatto, e con una soddisfazione politica nulla? Credo di no. Come non possiamo piu' ignorare i bisogni della nuova generazione di italiani che si stabiliscono in Europa, non come emigranti, ma come cittadini europei mobili all'interno del territorio dell'Unione, e ai quali offriamo servizi di utilita' poco maggiore di un comune o di una questura, quando invece siamo costretti a finanziare in giro per il mondo giornaletti in lingua italiana di scarsissimo spessore culturale o informativo, solo per mantenere in vita i loro redattori, personaggi che hanno costruito il loro reddito grazie alle peggiori politiche clientelari dei decenni passati, che speriamo non abbiano futuro.
Le ultime generazioni di italiani si organizzano culturalmente in forme ben piu' evolute, che finora sono sfuggite al nostro radar. Tanto per fare un esempio, per la Germania, andate a vedere “ilmitte.com” e rimarrete sorpresi, favorevolmente. Che cosa aspettiamo a fare parte anche di quel mondo, attivamente?
Vorrei concludere tornando sul punto, che ritengo fondamentale, della dignita' e della qualita' della nostra professione, quasi sempre svolta nella riservatezza e nella discrezione, come e' giusto che sia, ma che proprio per questo non si manifesta al cittadino comune. Credo che sia un nostro fondato diritto , direi anche un dovere, quello di pretendere che il Governo e l’Amministrazione ci tuteli e ci preservi di fronte ad operazioni mediatiche o pseudopolitiche che mirano a scardinare la nostra professionalita', che e' anche fatta di metodo, disciplina, gerarchia, tanto quanto lo e' la carriera militare. Non possiamo e non dobbiamo sostituirci all’Amministrazione nel compito di difendere la sua e la nostra immagine professionale. Abbiamo dovuto tollerare molti, troppi silenzi e timidezze dell’Amministrazione in questo campo.
Non siamo disposti ad immolarci nel nome di una nuova religione populista che vorrebbe venderci come una casta conservatrice che frena ogni cambiamento.  Chi pensa di farlo, di venderci alle “tricoteuses”, si potrebbe trovare senza  l'unico strumento di politica estera che gli rimane, le persone, visto che di risorse finanziarie non ce sono piu' a sufficienza, e da un bel po'.
Al contrario, quello che ho detto finora mi pare abbia dimostrato che di cambiamenti ne vogliamo eccome.  Il documento di policy del nostro sindacato, “riFarnesina” è ricco di spunti in proposito. Lo trovate sul nostro sito web ed alcune copie sono qui all’ingresso della sala.
E se si trattera', oltre i cambiamenti di struttura e di mentalita' che ho menzionato, anche di affrontare una riforma del nostro status e del nostro trattamento, siamo pronti a parlarne. Siamo pronti a parlare, per esempio, dei sistemi di avanzamento e dei modi di selezionare e prescegliere i colleghi da promuovere. Siamo pronti a parlare delle nostre promozioni di grado, a cui non segue piu', per il quarto anno consecutivo, nessun beneficio economico, una decurtazione di fatto dei nostri stipendi che si reitera per il quarto anno consecutivo, in aggiunta alle altre riduzioni gia’ subite nel nostro trattamento. Abbiamo gia’ dato. Piu’ volte per giunta. Una misura immorale da noi percepita come profondamente demoralizzante.  Le chiamiamo promozioni "bianche”. Ma rappresentano una pagina nera della nostra storia.
Cosi', se si vorra' affrontare il tema dei nostri compensi per il servizio estero, vorrei ripetere testualmente quanto ho letto sul blog dell'Onorevole Ministro, che il 30 dicembre scriveva: "...E sono convinta anch'io che siano tante, tantissime le cose da cambiare in questa nostra Italia - ed in profondita'. Ma sono anche consapevole del fatto che alcuni cambiamenti, per essere reali, profondi, vorrei quasi osare un 'permanenti', richiedono un po' di tempo, di calma, di serenita'. Di normalita'." E aggiungeva: "...farlo 'normalmente', senza guerre di religione e toni da apocalisse, senza insulti e senza scomuniche. Lavorando. Seriamente, tenacemente, senza nessuna timidezza, con tutto il coraggio che ci vorra'. E ce ne vorra'."
Noi le idee le abbiamo, il coraggio pure. Buon lavoro a tutti, cedo ora la parola al Vice Presidente del sindacato, Elisabetta Martini, che completera' il discorso programmatico.

Elisabetta Martini, Vicepresidente del SNDMAE:
Grazie Presidente,
in questo clima un po’ di accerchiamento che si percepisce, penso sia davvero U-TI-LE per il sindacato e per l’Amministrazione mettere a frutto la prospettiva dei neoassunti, che è un po’ differente da quella degli altri e non per questioni generazionali, ma solo in quanto abbiamo ben presente 2 aspetti della situazione attuale:

  • Da un lato abbiamo la giusta sensibilità per comprendere quel che accade fuori, in quanto abbiamo respirato e condiviso, fino a poco tempo fa, il clima di frustrazione di chi si trova a navigare in un mercato del lavoro immobile;
  • Ma dall’altro stiamo rendendoci conto, sulla nostra pelle, vedendo il carico di lavoro di ciascuno, di come la Farnesina sia semplicemente il bersaglio sbagliato verso cui si sta cercando di indirizzare questa frustrazione, Attraverso una retorica della casta da cui dobbiamo smarcarci.

Una retorica in cui siamo stati inseriti malgrado il pubblico concorso (di primo livello e non di terzo) e malgrado, a differenza di altri paesi europei (come la Francia) non si provenga solo dalle Grandi Scuole, ma da grandi e piccole università (pubbliche e private che siano), indifferentemente!
Siamo dunque molto più rappresentativi della realtà del paese rispetto a tante altre istituzioni e, profondamente incardinati nella realtà del paese, e proprio per questo anche noi subiamo le conseguenze di tutte le disfunzioni burocratiche che purtroppo si sono stratificate. Queste disfunzioni, facendo un danno all’Italia lo fanno anche a noi direttamente, che siamo in prima linea all’estero a giocarci la faccia, la reputazione e la credibilità professionale. Siamo dunque anche noi vittime di un sistema che affligge tutto il paese, nel rispetto del principio di proporzionalità, non siamo gli esodati… però anche noi siamo a favore di riforme contro la burocrazia e contro la casta. Questo deve essere chiaro all’esterno. Purché si sappia davvero individuare quale e chi sia questa casta!  Infatti, se il corpo del paese è purtroppo malato, io mi chiedo: il diplomatico che è il volto del paese all’estero può davvero rappresentare la causa della malattia? O ne è piuttosto il terminale? La verità è che quando si parla di “nota” inefficienza della diplomazia è perché il diplomatico deve spendere molto del suo tempo a camuffare i segni evidenti di una malattia che ha altre radici, altrove! Se la malattia non ci fosse, questo tempo sì che potrebbe essere utilizzato più efficacemente!
Questa consapevolezza però non può restare solo limitata a queste mura!
Non si può pensare in un clima da “ultima spiaggia” di poter continuare a discutere all’infinito di grandi progetti di comunicazione esterna. Se ormai tutto è comunicazione, bene. Vuol dire che, senza progetti costosi e divisivi, abbiamo infinite opportunità di comunicare esternamente la realtà della nostra condizione: al telefono con altre amministrazioni, de visu con gli esperti a contratto, ma specialmente quando siamo invitati alle università, scuole, istituti di ricerca.
Queste attività di outreach non possono continuare quindi ad essere considerate ancora solo collaterali ed accessorie, posti dove mandare (qui sì) il “giovane”, il “neoassunto”, senza capirne la potenzialità. Quelli sono i luoghi dove si forma l’opinione pubblica di una società civile in fermento, e dove siede proprio il capitale umano che ora è più frustrato da un mercato del lavoro immobile: studenti, ricercatori, professori spesso senza contratto. E per fortuna oggi è da lì che vengono selezionati i consulenti della classe politica, scalzando un po’ di igieniste dentali, che giovani erano giovani…però…
Queste persone, lontano da essere improvvisate, hanno studiato la nostra stessa quantità di libri, conoscono altrettante lingue, dimostrano la nostra stessa disponibilità alla mobilità internazionale. Trattandosi di persone con le nostre stesse competenze (e spesso qualche titolo accademico in più), costrette da un mercato del lavoro sclerotico a ben altri tipi di trattamenti economico-contrattuali, reclamano in molti casi di potersi sostituire, a più buon mercato, alla nostra categoria. Di fronte a queste persone, non possiamo trincerarci nei Musei o negli uffici, ma si deve cercare un contatto più fluido e meno stereotipato. A parità di competenze, dobbiamo valorizzare la differenza fra il rappresentare società o enti privati ( o spesso solo se stessi) e chi invece ha fatto la SCELTA di rappresentare un paese. Dobbiamo ricordare a queste persone che questa scelta per noi non è gratis, E NON VUOL DIRE SOLO ISE, al contrario! Implica enormi obblighi e limiti, nell’espressione delle nostre opinioni personali ad esempio e ci espone anche a rilevanti responsabilità amministrative, civili e persino penali!

  1. Oltre all’outreach
  2. ed alla valorizzazione dei nostri impegni,
  3.  gli Esteri non possono però uscire da questa crisi “reputazionale” senza riflettere profondamente sui propri meccanismi:
    • dobbiamo chiederci se possiamo ancora permetterci, confrontandoci con un gruppo sempre più folto di specialisti internazionali, di continuare ad essere dei generalisti in ogni ambito, LO PONGO COME PROBLEMA, non mi guardi troppo male il Direttore Baldi!
    • dobbiamo poi adeguarci ad una società che richiede flessibilità e che rifugge da roboanti etichette. Si tratta in alcuni casi solo di un lavoro di make up del nostro linguaggio, utilizzando termini che siano più allineati alla realtà dei fatti piuttosto che ad un’immagine stereotipata. Mostriamo candidamente che di più con “meno di così” non si può francamente fare, ad esempio in ambasciate dietro la parola Ambasciatore si cela un Capo Missione è ormai solo il capo di se stesso. Ed a proposito di “rappresentanza”, che senso ha parlare ancora di “ricevimenti” a persone che li identificano solo come eventi ludico-mondani? Chiamiamoli “eventi promozionali”! Utilizziamo un linguaggio più trasparente e dimostriamo, quantifichiamo, che questi eventi sono un mezzo e non un fine.
  4. Se a volte però basterebbe poco per farsi capire meglio, altre volte invece la Farnesina deve dimostrare di sapersi davvero adeguare ai tempi, nella sostanza. In una situazione di risorse decrescenti, non ci si può permettere di tenere delle persone “parcheggiate”, scoraggiarle nel cuore della loro carriera, perché troppo “junior” per ottenere certe posizioni. Il Cursus Honorum dei nostri gradi apicali è la nostra forza, la nostra rete di sicurezza, ma il criterio ispiratore deve essere il merito e non l’anagrafe. Questo ovviamente vale sia in un senso che nell’altro: secondo questa logica non bisogna per forza essere “senior” per svolgere certe funzioni, come non basta essere “giovani” per essere considerati meritevoli! Però chiariamoci su cosa significhi essere “giovani”. Mi dispiace doverlo svelare così brutalmente, ma le generazioni esistano, non esistono solo infinite nuances di gioventù, per poi ritrovarsi improvvisamente “vecchi”. Tra il giovane 25enne ed il giovane 45enne passano 20 anni di esperienza e lavoro. Il Ministero non si può più permettere di sacrificare e affliggere proprio quella fascia generazionale che ora si propone alla guida del rinnovamento del paese. Lancio così una provocazione:  a 40 anni in Italia si può, finalmente, fare il Ministro degli Esteri, allora perché spesso non si può fare il capo ufficio?