Replica Presidente SNDMAE De Agostini a Petrini
20 marzo 2012
Caro Petrini, Lei
dice: la cooperazione serve a creare sviluppo e lo sviluppo di alcune aree del
mondo serve a far funzionare meglio l’economia mondiale, anzi, serve a far
funzionare meglio il mondo, in un’ottica di “fair economy”. Benissimo.
Ma la cooperazione deve necessariamente essere sostenibile, sia dal punto di
vista economico, sia da quello politico. L’esperienza ci dimostra che le
economie dei Paesi donatori non possono finanziare all’infinito i programmi di
cooperazione in assenza di una contropartita economica, politica e di rispetto
dei diritti umani. Chiudere gli occhi dinanzi a questa semplice realtà significa
condannare i fondi della cooperazione al declino che hanno conosciuto negli
ultimi anni. Se,
quindi, la relazione tra donatore e beneficiario coinvolge entrambi in una
logica di collaborazione alla risoluzione di problemi comuni, allora essa deve
essere parte di un disegno più ampio, che si chiama politica estera. La
cooperazione, dopo tutto, non è solo quella delle ONG (a proposito, anche loro
si servono di fondi pubblici). La cooperazione è anche quella che si attua
attraverso crediti di aiuto finalizzati ad interventi strutturali, quella che
implica interventi di assistenza tecnica specialistica, quella che si pratica
in collaborazione con Organismi multilaterali e quella che si traduce in
programmi di educazione e formazione. Ben
venga, allora, la creazione di un Ministero della Cooperazione Internazionale
se essa aiuta il Ministero degli Esteri a coordinare e indirizzare
l’utilizzazione dei fondi oggi spezzettati nei bilanci del Ministero
dell’Economia e Finanze -oggi di gran lunga il loro maggiore gestore), dello
stesso Ministero degli esteri, di quelli dell’Ambiente e dell’Interno (per non
parlare dei fondi gestiti dalle Regioni). Ma
la coerenza degli interventi con l’interesse del Paese sulla scena
internazionale non può che essere assicurata dal Ministero degli Affari Esteri
e dalla sua rete diplomatica. Anche a questo servono le nostre Ambasciate nei
Paesi in via di Sviluppo ed anche a questo servono le nostre Rappresentanze
presso le Organizzazioni Internazionali (si pensi alla battaglia contro la pena
di morte in sede ONU). Se venisse loro meno il fondamentale pilastro della
cooperazione, esse si troverebbero improvvisamente azzoppate, perché prive di
argomenti concreti nel dialogo con i loro interlocutori politici ed economici.
È questo che vogliamo? Non
credo. Rafforzare la cooperazione dell’Italia è cosa giusta e necessaria per
potenziare il ruolo del nostro Paese nel mondo ai fini di una maggiore
stabilità ed equità complessiva. Vanno quindi incrementati i fondi che si sono
persi nel tempo e potenziata la gestione che è stata parcellizzata. Ma
bisogna farlo con coerenza, assicurando la giusta sostenibilità all’interno di
una nuova politica estera del nostro Paese, che sia finalmente lungimirante
anche nelle aree del mondo ancora in via di sviluppo. Distinti
saluti, Enrico De Agostini Presidente
SNDMAE
sono
d’accordo con Lei: la cooperazione allo sviluppo non è beneficenza. La logica
dell’aiuto fine a se stesso, figlia del senso di colpa degli ex colonizzatori,
è miseramente fallita nei decenni scorsi, quando fiumi di denaro pubblico
furono dispersi nei mille rivoli delle clientele di quello che usava chiamarsi
Terzo Mondo. Di sviluppo se ne è creato pochissimo, ma in compenso si è data
una grossa mano a mantenere in vita i governi corrotti di quei Paesi. Da lì,
oltre che dalla crisi economica, nasce la contrazione dei fondi destinati alla
cooperazione. Essa è, come fa giustamente rilevare, cominciata una ventina
d’anni fa e ha fatto sì che l’aiuto pubblico allo sviluppo italiano giungesse
ai livelli ridicoli che Lei descrive.